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Montagna invernale

Alti Tauri sci alpinismo Profondo bianco

Profondo bianco

Un terreno di gioco sterminato, dove muoversi tra lunghe valli, e grandi plateau glaciali, dorsali, creste e ampi panorami.
Dall’inizio dell’inverno a primavera inoltrata, gli Alti Tauri sono una fonte inesauribile di possibilità per gli amanti della polvere, dalle facili gite di un giorno alle traversate più impegnative.
testi di LORENZO NADDEI Rivista MERIDIANI Montagne ALTI TAURI

Gli abitanti sbigottiti di Heiligenblut non riuscivano a credere che fossimo arrivati da Kaprun con quegli arnesi lunghi e poco maneggevoli”. Gli arnesi in questione erano gli sci, e chi scriveva era il barone Karl Günther von Saar, eccezionale alpinista di fine Ottocento e futuro conquistatore del Campanile di Val Montanaia (nel 1902).

Si era appena concluso il primo tour di scialpinismo negli Alti Tauri di cui si abbia notizia: una traversata di più giorni sui ghiacciai del GroBglockner attraverso la Riffltor (3100 m), il passo che da accesso al ghiacciaio Pasterze.

Era il 1898, e questo era solo l’inizio… Per il Natale dell’anno seguente, il gruppetto (che comprendeva, tra gli altri, Othmar Sehrig, architetto di Innsbruck cui si devono la progettazione e la costruzione di molti dei rifugi delle Alpi di Stubai) pianificò una nuova impresa, ma la neve e il pericolo valanghe erano troppo alti; bisognò aspettare l’anno successivo per realizzarla, in quattro giorni piuttosto “complicati”.

Da Matrei raggiunsero la Tauernhaus, quindi la Prager Hütte, e da questa si avventurarono per il ghiacciaio Schlatenkees, ma non fidandosi completamente degli sci, decisero di toglierli e affrontare a piedi i molti tratti crepacciati, nonostante la neve altissima: la prima salita invernale del GroBvenediger (3666 m), raggiunto dopo ben nove ore di marcia, si rivelò un’autentica avventura, come del resto la quasi altrettanto lunga discesa!

Ancora oggi, insieme agli itinerari provenienti dai rifugi Kürsinger e Johannis, questo percorso rappresenta una delle salite scialpinistiche più facili e frequentate a questa montagna. I crepacci ci sono ancora, ma la salita – e soprattutto la discesa – non rappresentano più un grande problema.

Una coppia irresistibile

Quattro anni prima, sempre sui Tauri, c’era stato chi in discesa aveva dimostrato di cavarsela molto meglio. Il 5 febbraio 1894 Wilhelm Ritter von Arlt salì da Kolm Saigurn (1598 m) alla vetta dell’Hoher Sonnblick (3106 m) impiegando una giornata, ma per la discesa gli bastarono 32 minuti, che su una montagna non certo banale e con un’attrezzatura quantomeno “precaria” – documentata dalle foto dell’epoca – furono un’impresa nell’impresa.

Siamo di fronte alla prima salita documentata a un tremila delle Alpi con gli sci, due anni prima dell’exploit del suo omonimo, Wilhelm Paulcke, sull’Oberalpstock (3328 m) nelle Alpi Glaronesi.

La vita di von Arlt, un colosso di quasi due metri di origini boeme, colto e aristocratico, meriterebbe un capitolo a parte, come il suo sodalizio con Ignaz Rojacher, proprietario delle miniere d’oro di Rauris e compagno di tante avventure. Basti dire che nel 1886, in pochi mesi, progettarono e costruirono l’osservatorio astronomico all’epoca più alto del mondo, proprio in cima al Sonnblick (vediapag. 10), che varrà a Rojacher, per volere dell’imperatore Francesco Giuseppe, la croce al merito.

Nello stesso anno, di ritorno da un viaggio di studio in Svezia sulle tecniche di estrazione dell’oro, portarono nel villaggio di Rauris un paio di attrezzi sconosciuti: gli sci. Negli inverni successivi, pur lavorando incessantemente a svariati progetti, i due trovarono il tempo di fare a gara buttandosi giù dai pendii del Sonnblick, Rojacher con il suo knappenros, una curiosa “tavola” a metà strada tra uno snowboard e una slitta, Von Arlt con i suoi nuovi attrezzi: il primo vinceva sempre, ma – come riporta puntigliosamente l’annuario del Club alpino di Rauris – “solo in virtù della lunga pratica dello strumento”.

Von Arlt finì con il padroneggiare a tal punto la tecnica di salita e di discesa sugli sci da diventarne un vero esperto e godere di una certa popolarità. Con il declino delle miniere d’oro, e pensando al futuro della comunità di Rauris, puntò allo sviluppo turistico della regione e organizzò a questo scopo una delle prime gare di discesa delle Alpi.

Nel frattempo tenne i primi corsi di sci a turisti, valligiani e, dal 1902, alle guide alpine austriache. Il progressivo e generale miglioramento della tecnica dello sci, cui contribuirono varie scuole nate in Austria e Germania, diede il via a una serie di altre imprese invernali, culminate con la prima salita al GroBglockner (3798 m) nel 1909, molto più impegnativa di quelle che l’avevano fino ad allora preceduta.

Scialpinismo gioioso e contemplativo

I grandi spazi di queste montagne fecero il resto, e gli Alti Tauri divennero ben presto il “terreno di gioco” ideale per lo sci nelle Alpi Orientali. Questi monti offrono una scelta di salite e discese pressoché infinita, tra spettacolari plateau glaciali piuttosto comodi e cime isolate adatte agli amanti del ripido, come non mancano lunghi e solitari valloni non meno affascinanti delle vette. I molti rifugi costruiti durante l’epoca pionieristica sono stati ammodernati e attrezzati per poter aprire a primavera, mentre le storielle Tauernhaus di fondovalle offrono ospitalità anche in pieno inverno.

Tutti dotati di un efficiente trockenraum (il locale riscaldato dove fare asciugare gli scarponi), i rifugi sembrano fortunatamente immuni dal clima agguerrito che si respira nelle Alpi Occidentali, dove serissimi e meditabondi gruppi passano la sera a studiare senza sosta carte e bollettini meteo, pronti alla “lotta con l’Alpe”. Sugli Alti Tauri l’atmosfera è più rilassata, i rifugisti dispensano sorrisi e portate abbondanti.

Da queste parti c’è una vera cultura dell’accoglienza, e un clima che rimanda alle pagine di Marcel Kurz, a quello scialpinismo gioioso e contemplativo fatto di piccole comodità, di salite senza partire prima dell’alba, di lunghe soste lungo il percorso e di discese da farsi con calma, per godere della calda luce del tramonto: “È il grande piacere delle gite in sci: potersi attardare sulle vette, osservando le ombre della sera, sapendo che una traccia infallibile vi condurrà al tetto che vi ospiterà per la notte”, annotava proprio Kurz nel suo libro Alpinismo invernale.

E un tetto che vi sfamerà con cene e colazioni sontuose, a volte con mosse sorprendenti, come quando mi sono visto recapitare a colazione (dopo la mia richiesta, scherzosa ma non troppo) le enormi cotolette avanzate dalla sera prima al rifugio Essener und Rostocker, insieme a un grappino. L’ideale per cominciare bene la giornata…

Qualche suggerimento

Come per l’estate, anche con la neve gli itinerari di più giorni sono quelli che meglio permettono di apprezzare la grandiosità degli Alti Tauri. Facendo base al rifugio Essener und Rostocker (2208 m), non basta una settimana per salire tutti i magnifici tremila della zona, in una cornice semplicemente sublime.

Lo stesso vale per il massiccio del GroBvenediger, la cui vetta principale si può salire dai tre versanti citati in precedenza con itinerari di grande respiro, senza alcuna preoccupazione se non quella dell’orientamento («Non faccio nomi, ma mi è capitato di andare a cercare dei colleghi nati qui che si erano persi per la nebbia…

Su questi grandi ghiacciai con poca visibilità per qualcuno è un problema» mi ha confidato sorridendo una guida alpina della zona). Infine, come non citare il GroBglockner? Una montagna dal sapore “occidentale”, il cui massiccio offre – oltre alla non banale vetta principale, comunque facilitata da una serie di attrezzature sulla cresta finale – un’infilata di altre bellissime cime secondarie, accessibili senza troppa fatica.

Oltre a queste zone, tra le più frequentate degli Alti Tauri, sono molto consigliabili almeno altre tre mete scialpinistiche. Innanzitutto l’area intorno alla Rudolfshütte (2315 m), un tempo centro di alta montagna del Club alpino austriaco, oggi albergo-rifugio privato.

Benché raggiunta dagli impianti di risalita e circondata da piste da sci, la conca della Rudolfshütte permette di salire una serie di vette di grande soddisfazione che offrono – in virtù della posizione centrale del Gruppo delle Granatspitze – alcuni dei panorami migliori degli interi Tauri. La bellissima piramide della Granatspitze (3086 m), lo Stubacher Sonnblick (3088 m) e l’Hohe Fùrleg (2943 m) sono cime che regalano sciate favolose.

Con buona pace della wilderness, la bellezza dei percorsi, i dislivelli contenuti e le soste di fine giornata nel centro benessere e nella piscina della Rudolfshütte costituiscono un richiamo fortissimo, anche per gli scialpinisti più “puri”.

Imperdibile, nelle vicinanze, l’Hocheiser (3206 m), che in qualche modo rappresenta la “summa” dello scialpinismo negli Alti Tauri: partenza nel bosco, una serie di conche incantevoli, un traverso molto tecnico sotto un’imponente parete rocciosa e infine il ghiacciaio per arrivare alla vetta, dal panorama indimenticabile. Un percorso che, tra l’altro, regala subito emozioni: dopo pochi metri di strada, all’apparenza innocua, si entra in una galleria a volte quasi completamente ostruita da stalattiti di ghiaccio, uno dei passaggi più fotografati dagli scialpinisti austriaci.

Per i motivi storici raccontati in apertura, non può mancare la salita alla cima dell’Hoher Sonnblick, che si può affrontare da Heiligenblut, dalla conca sciistica dello Schareck o da Kolm Saìgurn.

Proprio da quest’ultimo villaggio parte l’itinerario della prima salita, ancora oggi il più remunerativo, soprattutto per le splendide foreste alla partenza e gli scorci verso la vetta che si godono salendo. La notte alla Zittelhaus (3105 m), il rifugio in vetta costruito da Von Arlt e Rojacher, permette di godersi alba e tramonto in quota e soprattutto un po’ di pace – visto che in primavera gli scialpinisti “di giornata” salgono a centinaia – per ammirare il panorama infinito.

Poco lontano, la salita all’Hocharn (3254 m), sempre nei cosiddetti “Monti dell’oro”, costituisce un altro piccolo gioiello e completa al meglio una sortita invernale nella Valle di Rauris.

A chiudere questo breve elenco di proposte, non può essere che lei, la “regina dei Tauri”: l’Hochalmspitze (3360 m), splendida vetta di granito, isolata, in alto sopra la Maltatal. La si raggiunge con un percorso lungo, non privo di insidie, ma di grandissima soddisfazione, da intraprendere a stagione inoltrata.

Infine, gli amanti delle racchette da neve possono trovare tranquilli percorsi di fondovalle, alcuni ottimamente segnalati dal Parco nazionale Alti Tauri, che offrono classiche visioni tra boschi di abeti e cembri. Chi invece ambisce alle cime più alte, può sfruttare la dolcezza di alcune zone della catena per spingersi in quota.

Tra le cime più prestigiose, il GroBvenediger è una salita assolutamente fattibile e consigliabile da ogni versante, mentre i collezionisti di tremila possono trovare un autentico eldorado nelle vette intorno alla Eisseehütte (2521 m).

La Skiroute Hoch Tirol

Curiosamente, viste le caratteristiche della catena degli Alti Tauri, mancava un itinerario “ufficiale” di più giorni, una traversata invernale da rifugio a rifugio che potesse competere con quelle delle Alpi Occidentali e delle classiche austriache nelle Alpi dell’Otztal e di Stubai.

Lacuna colmata nel 1999 dalle guide di Pragraten capitanate da Sigi Hatzer, ormai noto come “Herr GroBvenediger” (a luglio dello scorso anno ha festeggiato la sua millesima salita al “Gran veneziano”). Dopo qualche anno di studi, è stata inaugurata un’ambiziosa haute mute, ribattezzata Skiroute Hoch Timi, ben presto – a dispetto, o forse proprio a causa dell’impegno – divenuta una classica e soprannominata la “Chamonix-Zermatt delle Alpi Orientali”.

Sei giorni, I8mila metri di dislivello, 140 chilometri e cinque tra le vette più alte dei Tauri. Un’attrattiva formidabile per scialpinisti preparati ad affrontare tappe di sei-otto ore al giorno, dislivelli sostenuti e discese lunghissime.

In ambiente glaciale impressionante, si toccano in successione le vette del GroBer Geiger (3360 m), del GroBvenediger, due cime nelle Granatspitze e infine il GroBglockner. Si parte dall’Alto Adige, in Valle Aurina, e il primo tratto ricalca la via dei contrabbandieri che, fino agli anni Sessanta, portavano soprattutto vino, riso e sigarette in Austria dall’Italia.

Questo primo tratto, lungo e impegnativo, viene spesso evitato con la salita diretta alla Essener und Rostocker Hütte da Pragraten, più morbida e per di più senza zaino, visto che esiste una comoda teleferica per i materiali. Così, però, si perde una delle tappe più belle e varie di tutto il percorso, con due forcelle che regalano l’accesso ad altrettante splendide vallate glaciali.

Anche nella seconda tappa gli scialpinisti posso scegliere tra due possibilità: dopo la salita in cima al GroBer Geiger, il percorso “ufficiale” scende alla Johannishiltte (2121 m), storico rifugio risalente al 1857, mentre una variante, con una breve calata in corda doppia, raggiunge i grandi ghiacciai nella zona della Kiirsinger Hùtte (2558 m); in questo modo, a un itinerario già ricco di vedute, si aggiunge la traversata di uno degli ambienti più interessanti e ricchi di scorci del Salisburghese, ossia il versante nord del GroBvenediger.

La terza tappa prevede che dalla Johannishiltte, o dalla Kürsinger Hütte, si salga sulla vetta del GroBvenediger, per poi scendere lungo lo Schlatenkees a Innergschlòss e alla storica Matreier Tauernhaus (1512 m).

Di qui in avanti, senza più spazio per grandi digressioni, si prosegue alla volta della Rudolfshütte e, dopo una breve (e inevitabile) parentesi nell’affollamento della zona sciistica, si affronta l’ultima affascinante salita, da Kals alla cima del GroBglockner, il punto culminante della traversata. Più in alto proprio non si può andare.

Dalla Stüdlhutte (2802 m) in poi la discesa è priva di grandi difficoltà: si può approfittarne e scendere senza fretta, perché – sono ancora le parole di Marcel Kurz – “in inverno il crepuscolo è il più bel momento della giornata, l’ora nella quale i contrasti diventano più sorprendenti fra le ombre invadenti e le luci morenti sulle nevi”.